Questo articolo lo abbiamo scritto l'amico Livio Giuliani ed io, in risposta a rumors che arrivavano e arrivano periodicamente dalla rete. Livio è uno scienziato molto attivo nel settore protezionistico, animatore tra l'altro di ICEMS, una delle poche organizzazioni (se non l'unica) che affrontano il problema delle proliferazione elettromagnetica trascendendo dall'imperante conformismo consumistico.
A parte il fatto che lo studio, durato per 18 anni e concluso nel '95, non è relativo alla tecnologia GSM né tantomeno a quella UMTS (utilizzano modulazioni digitali, che secondo molti scienziati sono estremamente pericolose), ma riguarda solo la tecnologia dei "vecchi" cellulari TACS, analogici, rimane il dubbio che in pochi si siano presi il disturbo di leggere il suddetto studio. Infatti nelle conclusioni si legge:
"... siccome un piccolo e moderato aumento del rischio per sottogruppi di utenti pesanti o dopo periodi di induzione ancora più lunghi di 10-15 anni non si può escludere, tuttavia, ulteriori studi sono giustificati ...".
Esaminando il corpo dell'articolo non con totale incompetenza, si scopre altro che "un piccolo e moderato aumento del rischio per sottogruppi di utenti pesanti":
"... un aumento significativo è stato visto per "gli altri e non specificati" siti [cioè parti del cervello, ndt] (1,35, 1,05-1,75, n = 77), che persiste quando la stima è limitata a più di 10 anni di esposizione (1,44, 1,00-2,06, n = 35). Per approfondire ulteriormente questo risultato, abbiamo stimato i rapporti del tasso di incidenza separatamente per ogni sottogruppo. La stima più alta è stata trovata per il ventricolo cerebrale (2,58, 1,08-6,15), ma si basava solo su otto casi".
Qui la minimizzazione sembra particolarmente fuori luogo: viene infatti riportato che è stato trovato un rischio relativo del 258% di contrarre un tumore nel ventricolo cerebrale tra gli utilizzatori di telefono cellulare rispetto ai non utilizzatori, e che tale rischio relativo è statisticamente significativo, cioè ci sono 95 probabilità su 100 che tale stima sia vera (o, meglio, che possa variare tra il 108% e il 615% con una probabilità del 95%). Però viene anche affermato che questa stima si basa solo su otto casi, cercando forse di far dimenticare che tali otto casi erano comunque estratti da un campione più ampio di 35 casi, a sua volta estratto da un campione più ampio di 77 casi, in cui il rischio relativo era comunque circa il 140%, statisticamente significativo!
Ma non si tratta dell'unico 'odd risk ratio', rapporto di rischio avverso, trovato nello studio epidemiologico danese, dove si riporta:
"Ulteriore suddivisione dei gliomi negli uomini dal sito (tabella 3) hanno mostrato un marginale aumento del rapporto del tasso di incidenza per il lobo temporale (1,13, 0,86-1,48, n = 65)";
e ancora
"Per altri siti, il più alto rapporto del tasso di incidenza è stato trovato per il lobo occipitale (1,47, 0,87-2,48, n = 18), con la più alta stima per gli utenti più breve tempo (1-4 anni) (2,50, 1,18-5,31, n = 8), e un non-significativo aumento del rapporto del tasso di incidenza di 1,36 (0,57-3,23, n = 6) per gli abbonati di 10 o più anni".
Si noti come gli autori preferiscano segnalare il caso "non-significativo", quello per gli abbonati ultradecennali, qualificando come tale, piuttosto che segnalare il caso "significativo", qualificandolo come tale: quello degli abbonati da meno di quattro anni per i quali il rischio relativo sale al 250%, potendo variare tra il 118 e il 531% con probabilità del 95% (che e' la significatività).
Si, sembra che la "comunicazione" scientifica sia stata sottilmente manipolata. D'altronde gli esperti della scuola danese si sono sempre allineati alla politica del loro Governo, che si può definire esposizionista: la rappresentante danese nel Gruppo Esperti della Unione Europea che preparò la Raccomandazione 1999/519/CE, recante limiti di esposizione all'intero corpo da 10 a 100 volte più alti di quelli italiani, si scagliò contro la Risoluzione del Parlamento Europeo 10 Marzo 1999 che invitava il Consiglio a correggere la Raccomandazione alla luce del principio di precauzione, minacciando che la Danimarca avrebbe preteso limiti di esposizione ancora più elevati.
Ci sono poi da considerare i limiti dello studio, che gli stessi autori ammettono:
"Un limite dello studio è la potenzialmente errata classificazione della esposizione. I titolari di abbonamento che non utilizzano il proprio telefono saranno stati erroneamente classificati come esposti e le persone senza un abbonamento, ma con un telefono saranno stati erroneamente classificati come non esposti. Poiché abbiamo escluso gli abbonamenti aziendali, gli utenti di telefonia mobile che non hanno un abbonamento a proprio nome saranno stati erroneamente classificati come non esposti. Inoltre, siccome i dati sulle sottoscrizioni di abbonamenti al cellulare erano disponibili solo fino al 1995, gli individui con un abbonamento nel 1996 o successivamente sono stati classificati come non-utenti".
Si pensi alla rappresentatività di un simile campione in Italia: un campione in cui si considerano solo gli abbonamenti e per giunta non gli abbonamenti aziendali. Quali allora? Quelli delle casalinghe. Non sarà che costoro hanno anche il telefono fisso?
Proseguendo nella lettura: "La durata media settimanale delle chiamate in uscita è stata di 23 minuti per abbonato nel 1987-95 e 17 minuti nel periodo 1996-2002".
Considerare utilizzatori pesanti quelli che in media chiamano 23 minuti a settimana, cioè tre minuti e 17 secondi al giorno, sembra troppo anche per uno statistico danese!
Roma - Genova, 24 ottobre 2011
Livio Giuliani Claudio Poggi